LO SGUARDO TRA LE MURA DELLA SCUOLA

Viviamo in un tempo inquieto, un tempo emotivamente difficile, che ci vede incapaci di gestire le nostre emozioni e le nostre relazioni affettive. Ma è anche un tempo eticamente in crisi, segnato dalla chiusura nei propri interessi, nell’individualismo e nell’indifferenza verso l’altro. Un mondo che ci preoccupa. 

La Scuola, con le sue mura permeabili, imbarca il disagio che si vive nelle famiglie e nella società in genere, determinando disorientamento, difficoltà e solitudine negli operatori scolastici.

Preoccupante è infatti il malessere che si registra nelle nostre scuole: il 72% dei ragazzi tra gli 11-15 anni dichiara di star male a scuola e il 60% dichiara di annoiarsi. Intanto, il 69% dei docenti e il 52% dei DS sono a rischio di burnout medio alto. 

Un malessere che nasce e si nutre nelle nostre relazioni, nelle classi, con i colleghi, nei gruppi di lavoro, nei rapporti con le famiglie. 

Riaffermando le responsabilità della Politica, che continua a non investire sulla scuola come sulla sanità, restano a noi le domande: Come gestire il disagio affettivo e lo smarrimento dei nostri ragazzi? Come affrontare le nostre difficoltà nei gruppi in cui lavoriamo? 

Al di là delle condizioni di contesto, sappiamo che non è naturale saper gestire le nostre emozioni, come non è scontato prendere decisioni, gestire i conflitti, negoziare. Non è facile, ma si può imparare, perché “Benestanti non si nasce ma si diventa” (Spaltro). Questo vuol dire che stare nelle relazioni e lavorare in gruppo si può imparare e quindi anche insegnare, ma occorre, come ci ricorda Gardner, una lunga e attenta formazione dell’intelligenza personale e interpersonale.

Si tratta allora di puntare sul valore del gruppo, – i tanti gruppi che animano le nostre scuole – e sul tempo della formazione.

Il gruppo, fonte e teatro del potere, quale luogo dove si può imparare a sperimentare la parità, la democrazia, la solidarietà.

La formazione, la bella formazione, quale tempo dove prenderci cura di noi, con la voglia di stare e tornare a giocare insieme e, giocandosi, rischiare di star bene.    Potremo così ritrovare il senso del nostro lavoro e guardare alla scuola quale luogo di speranza e di bellezza. La bellezza dell’imparare e dell’insegnare, del bellessere che si realizza nel plurale, nella riappropriazione del nostro futuro, nella possibilità di essere felici. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi. Lo dobbiamo a noi stessi e all’Altro che ci accompagna in questa avventura umana. Per restare umani.

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